Chievo-Palermo, l’ex Barone: ” A Veronello sono arrivato ragazzo e me ne sono andato uomo”
venerdì 1 Aprile 2016 - Ore 14:00 - Autore: Gabriele Fusar Poli
Al Chievo ha visto per la prima volta la Serie A, al Palermo è diventato campione del mondo. Simone Barone, originario di Nocera Inferiore, entrò a Veronello a 22 anni, appena sceso in C1 con la Virescit nella Serie B vinta dal Vicenza di Edy Reja e col Chievo di Miani e Balestro salvo con due punti sulle quartultime Pistoiese e Cesena. «Sono arrivato ragazzo e me ne sono andato uomo», la sintesi di Barone d’oggi, a ruota libera a «Fuorigioco», su RadioVerona, nella settimana in cui i suoi pensieri non potevano non correre verso il Bentegodi. Il calcio a quasi 38 anni l’ha portato al Parma, allenatore della Juniores Nazionale prima in classifica anche grazie alla sua mano di tecnico sempre più capace, dopo gli esordi alle giovanili del Modena. Senza mai dimenticare i primi passi: «Il Chievo è stata la base della mia carriera, al Chievo sono cresciuto e capito tante cose. Della vita, oltre che del calcio».Dov’è la magia di Veronello?«In meccanismi che ormai vanno avanti da soli, difficili da spiegare se non ci sei dentro. Chi arrivava al Chievo veniva subito integrato in un gruppo eccezionale, costruito attorno ad uno zoccolo duro che ti faceva capire immediatamente quel che dovevi fare. Non è un caso che da Veronello siano passati giocatori come Perrotta o Barzagli e straordinari allenatori come Gigi Delneri. Alla base di tutto, però, c’è sempre stata la società».Avrebbe mai immaginato un Chievo così a lungo in Serie A?«Rimanere a certi livelli per così tanto tempo era impensabile quando al Chievo c’ero io, anche se era chiaro che qualcosa di grande stava nascendo». Perché?«Perché c’erano persone molto esigenti, grandi lavoratori con un’attenzione particolare per gli aspetti e morali. Si sceglieva sempre l’allenatore giusto, sempre i giocatori e i giovani giusti. Il cuore dello spogliatoio poi tracciava la strada. Vedo realtà più importanti sulla carta retrocedere o rischiare ogni anno, questo fa capire quanto sia stato bravo il Chievo a restare costantemente in Serie A».
I suoi primi giorni di Chievo?«Mi guardavo attorno e vedevo tutta gente brava tecnicamente ma veniva da un’annata negativa. Io ero retrocesso in C1, Corradi non giocava a Cagliari, Perrotta era andato in B col Bari, Eriberto a Bologna il campo lo vedeva poco. Tutti avevano però grandissime motivazioni. Il primo Chievo ragionava così».Le facce di quella squadra?«Tantissime, Lanna e Corradi soprattutto. Ancora oggi sono due miei grandi amici».Il primo Chievo di Serie A è stato davvero irripetibile come continua a ripetere Delneri?«Dopo il Milan di Sacchi negli ultimi anni nessuno ha prodotto innovazione quanto quel Chievo. Una realtà unica al mondo». Addirittura?«Andavamo in campo ovunque con due punte, due ali d’attacco, un incursore come Perrotta o il sottoscritto, in B. E tantissimi giocatori offensivi. Quel giocattolo non l’ha prodotto più nessuno. Nemmeno Delneri, pur provandoci in altre piazze».Anche a Palermo però lei non se l’è passata male…«Vero, ma quando c’ero io Palermo era un’altra realtà. Arrivammo quinti al primo anno, in città si respirava un’atmosfera incredibile. Quattro di noi da lì a poco sarebbero andati in Germania a vincere il Mondiale. C’era un grande diesse come Rino Foschi, c’erano tecnici come Guidolin e Delneri, giocatori fortissimi. Penso a Barzagli, che il Palermo prese proprio dal Chievo. Adesso è diverso, queste componenti non ci sono. La situazione anzi è molto critica e, lo dico a malincuore, difficile da raddrizzare».Il Palermo domenica sarà più motivato del Chievo?«Non direi, non è l’ultima o la penultima giornata quando una squadra già salva può effettivamente essere rilassata. Otto partite sono tante per fare questi discorsi». Come se la giocheranno allora i rosanero al Bentegodi?«Dal Palermo mi aspetto una gara molto difensiva per poi cercare di sfruttare un contropiede o un calcio piazzato per provare a vincere, perché il pareggio servirebbe fino a un certo punto».Il suo ritratto di Zamparini?«È sempre stato un vulcano ma quando c’ero io le condizioni erano ottimali. Qualche sfuriata la faceva però quello era un gruppo di persone forti con un grandissimo capitano come Corini e giocatori di temperamento come Toni, Zauli, Barzagli, Grosso, lo stesso Morrone… Che riuscivano ad assorbire quelle uscite nel modo più giusto».E la sua riproduzione della Coppa del Mondo dov’è?«A casa ma ormai la guardo poco. La testa non è più quella del giocatore. Adesso voglio allenare, sempre però facendo un passo alla volta. Non si ottiene tutto e subito, il Chievo mi ha insegnato anche questo».
(Fonte: L’Arena)
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