Padova, Bianchi a Trivenetogoal: “Cerco serietà e progettualità: mi è piaciuto il rapporto con i giovani del Biancoscudo”
mercoledì 2 Luglio 2025 - Ore 21:26 - Autore: Giulio Pavan
L’ex centrocampista del Padova Nicolò Bianchi si è svincolato ufficialmente dai biancoscudati ed è pronto per raccogliere una nuova opportunità sfidante. Della sua carriera e della sua ultima esperienza nella città del Santo ne ha parlato con noi di Trivenetogoal:
Hai appena concluso due stagioni con il Padova: che bilancio ti senti di fare?
“Il bilancio è senza dubbio positivo, soprattutto a livello di risultati. In due anni abbiamo raggiunto l’obiettivo prefissato, e questo non era affatto scontato. È chiaro, ogni giocatore vorrebbe scendere in campo sempre, ma il calcio è fatto anche di ruoli diversi. Mi ricordo bene che già alla prima giornata di quest’anno, dopo un piccolo problema fisico, qualcuno mi chiese se fossi preoccupato di non giocare molto, come accaduto l’anno precedente. Risposi, e lo penso davvero, che in una squadra vincente i giocatori importanti sono 24, non solo 11.Lo pensavo quando giocavo titolare e lo penso oggi. E infatti questa visione si è confermata: serve sempre farsi trovare pronti. Un esempio? La partita di Trieste. Il mister mi ha fatto partire titolare, poi è arrivata anche la squalifica di Crisetig, e ho dato il massimo.
Ripensando alla tua ultima stagione, quali sono stati i tuoi momenti migliori e quelli in cui avresti potuto fare meglio?
“A livello personale, il momento più bello è stato sicuramente la prima giornata: non mi aspettavo di giocare e ho anche segnato. Ma in generale, il mio orgoglio più grande è stato farmi trovare sempre pronto quando sono stato chiamato in causa, anche solo per pochi minuti. Per me giocare poco è stata una novità in quanto negli anni passati avevo sempre avuto tanto spazio, non è facile mantenere mentalità e concentrazione quando entri solo nei finali, L’anno scorso, a volte, non ci ero riuscito del tutto, quest’anno invece sì, e sono contento di questo passo in avanti.
Parlando di squadra, c’è mai stato il timore reale di non vincere il campionato?
“Forse qualcuno l’ha pensato, ma nessuno l’ha mai espresso apertamente. Anzi, paradossalmente, quando siamo scesi al secondo posto dopo la trasferta di Bergamo e la vittoria del Vicenza, nello spogliatoio c’era comunque un’energia positiva. Da fuori magari sembravamo “morti”, ma internamente eravamo più compatti che mai. Ricordo benissimo l’allenamento post-Bergamo: Andreoletti fece un discorso davvero centrato, toccò i punti giusti e quello è stato un momento chiave.
Tu hai vinto più campionati in carriera. Secondo te, cosa serve davvero per vincere la Serie C?
“Non esiste una ricetta magica, ma ci sono ingredienti fondamentali, il primo è che tutti, ma proprio tutti, remino dalla stessa parte. Non solo a parole, ma nei fatti. Quest’anno ho vinto pur giocando meno, e mi sono reso conto di quanto siano importanti quelli che non scendono sempre in campo. Sono loro che, dal martedì al sabato, mantengono alta l’intensità in allenamento. E quando vengono chiamati in causa anche solo per cinque minuti, danno tutto. Il gruppo deve essere davvero unito. Solo così si vince.
Hai parlato di gruppo. Che rapporto hai con i più giovani? Ti piace essere un punto di riferimento?
“Assolutamente sì, Ci tengo molto. Alcuni giovani del Padova mi hanno scritto dopo l’annuncio della mia partenza, e mi ha fatto davvero piacere perché non me l’aspettavo. Penso che in Italia si dia ancora troppa importanza alla distinzione tra “giovani” e “vecchi”. Per me ci sono 24 giocatori, tutti sullo stesso piano. È chiaro che l’esperienza aiuta, e lì entra in gioco il ruolo di chi è più esperto: dare consigli, anche a muso duro se serve, ma sempre con uno spirito costruttivo. Anche negli allenamenti: se dici qualcosa, è perché consideri il compagno alla pari e vuoi il meglio per lui. Non è una critica, è un aiuto.
Guardando indietro, quali allenatori ti hanno lasciato qualcosa di più?
“Ho sempre cercato di prendere qualcosa da tutti. Detto questo, è inevitabile citare Mimmo Toscano, che mi ha lanciato e con cui ho vinto. Ma sono molto grato anche ad Andreoletti, perché quest’anno mi ha fatto scoprire un ruolo diverso ma ugualmente fondamentale all’interno del gruppo. Poi ti cito anche Stellone, che ho avuto solo per cinque mesi ma che mi ha lasciato ottimi ricordi. Sta facendo benissimo a Pesaro. E non posso non nominare Baroni: quando lo ebbi capii subito che avrebbe fatto strada. Quello che diceva in allenamento, poi succedeva in campo. Negli ultimi anni ho avuto la fortuna di lavorare con tecnici davvero preparati.
Ora sei ufficialmente libero. Che tipo di progetto cerchi per il futuro?
Cerco serietà e progettualità. So che a 33 anni può sembrare strano parlare di “progetto”, ma per me resta la cosa più importante: programmazione, chiarezza, e voglia di costruire. Un progetto vero è quando una società ti trasmette fiducia, ti fa sentire importante, e ti coinvolge in un percorso in cui puoi portare valore, umano e sportivo.
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