Atalanta-Chievo, la vittoria di Nember: nel segno della continuità, seguendo Sartori…
domenica 24 Aprile 2016 - Ore 11:00 - Autore: Gabriele Fusar Poli
A gennaio il braccio di ferro è durato un mese. Giovanni Sartori chiamava Veronello, casa sua per trent’anni anni, 22 da direttore sportivo. Sei milioni per Paloschi, troppo pochi. Anche otto poi, perché l’Atalanta voleva il centravanti per i prossimi cinque anni. Niente da fare, Luca Nember non voleva sentirci. Ce ne volevano dieci, altrimenti niente. Sartori, quello dall’altra parte del telefono, l’aveva affinato per bene nel periodo insieme al Chievo. Magari quando a Nember raccontò che nel 2006, dopo l’eliminazione dalla Champions League per mano del Levski Sofia, di batterie del cellulare ne fece scaricare parecchie a quelli del Palermo a cui aveva promesso Amauri. Ci volevano nove milioni, vietato fare sconti. Nel pacchetto finì anche il cartellino di Godeas più 8 milioni e 750mila euro. Operazione conclusa, ma alle condizioni del Chievo. Ovvio. COLPO SU COLPO. Così Nember continuava a tenersi stretto Paloschi, ribattendo colpo su colpo senza mai cedere. Ricordando a tutti che l’Atalanta non chiese esattamente due lire al Torino per avere Baselli e che Sportiello, qualche mese fa portiere sulla bocca di molti, non era certo sul mercato a prezzo di saldi. «Paloschi poteva andare soltanto in Inghilterra date le condizioni poste dal Chievo», ha sottolineato Sartori in questi giorni, perché lo Swansea s’era presentato a Veronello con dieci milioni tondi tondi. Quei criteri li aveva imposti proprio lui. Da anni. Sempre quelli, anche a parti invertite.DA RININO A BIERHOFF. Sartori è stato la storia del Chievo, nelle fondamenta di Veronello riposano i suoi ultimi gol da centravanti e vivono i principi su cui poggia una realtà di quartiere diventata col tempo una delle società più ammirate d’Italia. Quando Sartori prese Rinino dalla Vogherese e Ballarin dal Venezia nella stagione della promozione in Serie B, nel 1993, non avrebbe mai pensato che un giorno avrebbe consegnato al Chievo anche uno come Oliver Bierhoff o futuri campioni del mondo come Perrotta, Barone e Barzagli. Prodotti finiti e scoperte. Come l’intuizione di andarsi a prendere a Lugagnano quel Federico Cossato che a 23 anni chissà perché era ancora in Eccellenza. Capì in fretta Sartori che il Chievo aveva bisogno anche di colonne portanti, quelle che un giorno avrebbero dovuto indicare la retta via a tutti gli altri. Il jolly lo pescò con Lorenzo D’Anna, reduce dalla Fiorentina prima retrocessa in B con Gigi Radice e Aldo Agroppi ma subito dopo tornata in A con Claudio Ranieri. Una leggenda vivente. Eppure il primo vero colpo di Sartori fu Marco Sinigaglia, uno che aveva giocato la Coppa delle Coppe col Torino, come ricordò orgogliosamente Alberto Malesani il giorno della sua presentazione. Era il 1995.VIVA LA CONTINUITÀ. La strada era tracciata, Sartori portò a casa Lanna, Zanchetta, Marazzina e Cerbone, capì che i giovani Fiore e Roma sarebbero diventati due grandi del calcio europeo così come Legrottaglie. Arrivarono Franceschini e Corini più Moro, Manfredini, Eriberto e Corradi nell’anno della promozione in Serie A con Gigi Delneri. Erano gli anni del primo Pellissier, un po’ meno dell’allora diciottenne Magnanelli preso per cinquantamila euro dal Gubbio ed ora leader del Sassuolo, ma a Veronello solo una comparsa. La maglia del Chievo se la infilarono Marchegiani e Giunti, Bradley e Dainelli, Acerbi e Paloschi, passando per Biabiany all’epoca ragazzino in prestito dall’Inter come Obinna e Gelson Fernandes che aveva alle spalle due anni al Manchester City. I SALUTI. Tutto però ha una fine, anche al Chievo. Era il 23 maggio del 2013 quando la società annunciò Luca Nember come futuro direttore sportivo, con Sartori direttore tecnico. Prima del distacco definitivo e della chiamata dell’Atalanta. Le regole non cambiarono. Chiarissime le idee di Nember, soprattutto dopo anni trascorsi a vedere partite su partite. Del Chievo di oggi c’è molto di suo. Da Birsa a Zukanovic, da Meggiorini strappato alla concorrenza a parametro zero a Bizzarri, da Izco a Castro, da Gobbi a Pepe. Sempre nel segno della continuità. Ieri come oggi.
(Fonte: L’Arena)
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