Pro Gorizia, Pizzul: “Città stanca, un po’ nostalgica e scarsa adesione dei giovani al calcio: da Tacchini in poi….”

di Enrico Soli

C’è un Bruno Pizzul nazionale, quello che tutti conosciamo per la brillante carriera di giornalista e telecronista Rai, ma c’è anche un Pizzul “locale”, meno noto, cioè l’uomo legato alla sua terra. Classe 1938, Pizzul vive a Cormons, nel cuore del Collio goriziano, e ha iniziato la sua esperienza come calciatore nella squadra locale della Cormonese per poi passare al Catania via Pro Gorizia. La squadra biancazzurra attraversa già da alcuni mesi una crisi che l’ha portata in piena zona retrocessione nel campionato di Eccellenza. Una crisi inattesa considerando che la scorsa stagione, da matricola, la formazione di mister Coceani si era spinta fino alla finale regionale di categoria.

Pizzul, quando la intervistano prima o poi si arriva alla fatidica domanda “per che squadra fa il tifo?” e lei di solito risponde Torino, Udinese e Triestina. A noi di Trivenetogoal che seguiamo anche la Pro Gorizia viene spontaneo chiederle: che spazio ha la Pro, che sta vivendo un periodo così difficile, nei suoi pensieri?

“C’è da premettere che il calcio a Gorizia è sempre stato minoritario rispetto al basket, del quale invece Gorizia è una capitale nazionale. Purtroppo in entrambi gli sport negli ultimi anni c’è stato un inaridimento di un filone che aveva dato moltissimi ragazzi di valore. Non conosco personalmente l’attuale società della Pro, che viene da stagioni di risalita che l’hanno riportata in una categoria già più degna della grande storia biancazzurra (serie B negli anni Quaranta). In generale, però, Gorizia, pur essendo una città piuttosto vecchia, continua a praticare abbastanza sport e soprattutto si avvicina a molte discipline. La Pro ha avuto una storia travagliatissima per quanto riguarda la gestione societaria con presidente anche importanti, qualche altro pittoresco, altri ancora abbastanza discutibili. Nel frattempo i costi si sono dilatati anche a livello dilettantistico e quindi il calcio è difficilmente sostenibile”.

Però è anche vero, allargando lo sguardo a tutta la regione, che a Udine c’è Pozzo, a Trieste c’è Biasin e a Pordenone c’è Lovisa: sono tutti presidenti che stanno portando avanti obiettivi sportivi importanti. Perché Gorizia deve fare la parte di cenerentola in questo contesto?

“Intanto, ripeto, c’è scarsa adesione dei giovani al calcio perché adesso praticano molte altre attività. Infatti ci sono tante realtà sportive a Gorizia, nessuna di altissimo livello, ma bisogna anche considerare che stiamo parlando di una centro di piccole dimensioni. E poi è una città un po’ stanca, che vive in un’atmosfera straordinaria; è una città dove si vive bene, ma è anche un po’ nostalgica, che si adagia sui ricordi. I goriziani sono molto autoreferenziali, ma il discorso non vale solo per Gorizia: per alimentare dei sogni di poter costruire una buona squadra occorre essere molto abili nella gestione come sono i Pozzo o sperare che i giovani tornino a praticare lo sport ad un certo livello. Giusto il riferimento al Pordenone, ma speriamo che duri, perchè può saltare per aria tutto da un momento all’altro. I Pozzo magari fanno arrabbiare i loro tifosi che vorrebbero vedere più investimenti sulla squadra, ma intanto garantiscono una continuità ad un livello alto, e non è cosa facilmente reperibile in giro. Gorizia ha avuto un passato calcistico importantissimo soprattutto per quanto riguarda i dirigenti. Il periodo aureo è stato quello in cui c’era Tacchini (presidente per trentacinque anni fino al 1972, ndr), un personaggio a tutto tondo che riuscì ad entrare negli ingranaggi del mercato calcistico nazionale ed internazionale: riusciva infatti a far arrivare da oltre cortina giocatori che scappavano dai paesi dell’Est e poi da Gorizia li dirottava in Italia e soprattutto all’estero. Da Gorizia sono quindi passati Kubala, Puskas, Szoke…e così faceva con i giovani della regione: io stesso sono stato venduto dalla Cormonese al Catania con Tacchini che ha fatto da mallevadore. All’epoca c’erano tantissimi giovani di valore in questa provincia. Era un presidente assai pittoresco, che invece dei premi in denaro ai giocatori dava i suoi cappotti. Gorizia con lui era comunque un trampolino quasi garantito”.

Forse manca un personaggio così oggi…

“E dove li trovi? Mancano non solo a Gorizia, ma dappertutto…”

Penso ad esempio Pozzo che comunque in serie D portava allo stadio migliaia di spettarori…

“Perchè lui era un personaggio particolare che faceva una promozione incredibile: andare a vedere la partita a Gorizia non era tanto per la partita in sé ma per fare delle merende incredibili: si mangiava, si beveva, si festeggiava…al prezzo però di una gestione un po’ acrobatica. Gorizia comunque trova sempre dei personaggi che si assumono anche l’onere di portare avanti il calcio. In passato ci sono stati addirittura dei sacerdoti che sono intervenuti per salvare la squadra, penso a Don Ambrosi, che ha fatto da dirigente. Quindi c’è tanta gente di buona volontà, ma è difficile trovare chi abbia le risorse economiche e voglia metterle a disposizione”.

Lei ha avuto il coraggio di schierarsi apertamente contro il cosiddetto“calcio moderno”, ritenendolo troppo “attento al marketing”. In effetti le squadre ormai si presentano come prodotti, magari da vendere in tutto il mondo. Cosa prevede quindi per il futuro? Quale il suo auspicio e quale invece la sua più realistica previsione?

“L’auspicio è che finisca per intervenire qualche situazione difficile da sostenere che si allarghi a più società e che generi un freno allo sviluppo delle società in senso mercantile. Ormai, purtroppo dispiace dirlo, ma non sono più società sportive bensì delle imprese nelle quali si perde di vista anche la classica figura del presidente a favore di società plurinominali, molto spesso di provenienza estera, che generano una cosa priva dei valori sentimentali ed etici che un tempo si riconoscevano al pallone. Oggi l’importanza del denaro è eccessiva: i latini dicevano “pecunia non olet”. Magari non puzzerà, ma finisce per sporcare. Io temo che la gente si possa anche disamorare, perché poi diventa moralmente inaccettabile che viaggino certe cifre. Infatti sintomi di disaffezione ce ne sono sempre più. Il calendario dipende dalle esigenze televisive, i giocatori non sono più messi nelle condizioni per dare il meglio di sé e c’è una tensione legata al fatto che in ballo ci sono troppi soldi. La gente non dovrebbe più andare a vedere le partite dove ci sono giocatori che guadagnano le cifre che guadagnano perchè non è una cosa degna”.

Commenti

commenti