Verona, Pecchia: “L’Hellas in A dovrà avere la tempra di Pantani! E non devo convincere il pubblico, bensì la squadra…”
venerdì 26 Maggio 2017 - Ore 13:00 - Autore: Gabriele Fusar Poli
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Parla di fronte a una tazza di tè Pecchia, nella mattina calda di una Verona che comincia a chiamare l’estate. Una settimana fa, si è svegliato dopo una notte lunga e corta insieme. L’ha fatto da allenatore promosso in Serie A. L’allenatore dell’Hellas: «Il calcio è come il ciclismo. Uno sport in cui devi andare oltre la fatica, in cui la squadra viene prima del singolo, perché ci sono i campioni che arrivano primi al traguardo, ma per riuscirci serve il sacrificio di tutti. Servono i gregari. E in questo Verona gregario e campione lo è stato ogni giocatore, lo è stato lo spogliatoio. A me piacerebbe che l’Hellas, in A, avesse la stessa tempra che fu di Marco Pantani. Coraggioso, tenace, sempre pronto a scattare».
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Si è chiuso in un sommergibile, Pecchia, per spingere il Verona in A. L’ha costruito, smontato e rimontato: «Siamo stati sbarazzini, all’inizio, e l’entusiasmo è stato fondamentale, ma quando ci sono state delle difficoltà questo ha finito per nuocerci. Poi è nato un altro Hellas. Più pratico, più consapevole di sé. L’Hellas che si è preso la promozione. Ora vado per un po’ in vacanza, ma ai primi di luglio ricominceremo. Non dobbiamo disperdere il patrimonio che abbiamo accumulato in questa stagione. Nessun giocatore è inallenabile. La grandezza di un calciatore si vede dalla mentalità che ha. Al Real c’erano Cristiano Ronaldo, Bale, Sergio Ramos, tanti altri. Vincevano una partita e via, pensavano già a quella dopo. Prima di tutto si allenano gli uomini. Un calciatore non è un Superman. È una persona normale, con fragilità e debolezze. Ci devi dialogare, ascoltarlo, capirlo. Un uomo migliore è un giocatore migliore». Dai giorni in cui, ad Avellino, Fabio Pecchia faceva il raccattapalle e ammirava i calci di punizione di José Dirceu, il giocatore e il tecnico hanno accompagnato un uomo che, adesso, dice: «Non cerco l’applauso, non sono in campagna elettorale. Non sono un politico. Non devo convincere il pubblico, bensì la squadra. Così si possono offrire emozioni, trasmettere gioia. Questo, non altro, è il dovere di un allenatore». E così quel ragazzino che piangeva con sua mamma al telefono in una stanza che non gli apparteneva ha riportato il Verona in Serie A.
(Fonte: Corriere del Veneto. Trovate il resto dell’articolo sull’edizione odierna del quotidiano)
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