Mestre, Zironelli a tutto tondo: “La squadra, la città, i tifosi, il presidente. E sapeste che carica…”
lunedì 22 Maggio 2017 - Ore 14:00 - Autore: Gabriele Fusar Poli
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Zironelli va in cima. Dal campo alla panchina, passaggio indolore? «Un altro tipo di vita. Ma stare senza calcio è difficile. Ve lo dico subito: non alleno per i soldi, il calcio è come un fuoco che hai dentro. Smettere è stata dura, anche perchè il motore era ancora buono. Ma la carrozzeria non teneva più». Lei sul campo ha sofferto. E anche parecchio. «Ho patito tanti infortuni, mi sono rimaste le cicatrici ma anche la rabbia. Ho smesso di giocare poco dopo i trent’anni, ma ho ancora tanto da dare e da ricevere. E ho trasformato la rabbia in forza, grinta». Ora è un uomo sereno. Non un allenatore stressato. «Il calcio ti può prendere, ti può condizionare, ma non ti stressa. Lo dico anche per rispettare chi è stressato veramente. Le cose brutte sono altre, i problemi, il lavoro che non c’è, il male. Noi viviamo con il calcio e siamo fortunati. Poi dobbiamo cercare di essere bravi e meritare».
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Parliamo del Mestre. «Contentissimo, ho dato e ho ricevuto, i giocatori mi seguono e questo è importante. Vincere un campionato poi è una sensazione eccezionale, e da allenatore ancor di più. Ecco che il calcio può dare quella gioia che prima, per gli infortuni, non sempre ho avuto». Negli Anni Novanta lei ha abitato a Mestre. «Sì, gli anni in cui ho giocato nel Venezia. Ho ritrovato tanti amici, tante facce conosciute. Magari con qualche capello in meno e qualche chilo in più, del resto anch’io… Ma soprattutto una città più bella, migliorata, hanno fatto tanti lavori. La zona di via San Marco, dove abitavo, ora è molto più bella». L’impatto con i tifosi? «Ottimo. Passionali, orgogliosi, il loro ruolo è importante e lo hanno interpretato alla pefezione. Del resto, si vince tutti assieme. Temevo che qualcuno mi rinfacciasse la militanza nel Venezia ma non è stato così. Quando ero al Venezia, come in ogni altra squadra, ho dato tutto, ora sono al Mestre e faccio altrettanto, da professionista». Lei è un allenatore che parla di “progetti”? «Non mi piacciono le parole che riempiono la bocca ma sono senza sostanza. Facciamo un mestiere che se perdiamo tre partite ci mandano a casa. Mi è piaciuto il nostro presidente, Stefano Serena. Sapete quale è il suo progetto? Vincere la prossima partita. Questa è concretezza. Il suo sogno era quello di riportare la gente allo stadio e possiamo dire che ci è riuscito in pieno. Un presidente vincente senza tanti paroloni. Anche il discorso delle “motivazioni” mi lascia perplesso: siamo professionisti, dobbiamo averle sempre le motivazioni, ogni momento, in ogni partita. Deve essere normale averle. Trovo importante invece la capacità di decidere, scegliere, anche con poco tempo. Saper fare la cosa giusta al momento giusto».
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Come se la cava con i social? Si alza alla mattina e twitta? «Ci sono, ma non impazzisco , e poi in famiglia moglie e figli sono di sicuro più abili di me. I social sono una realtà con la quale dobbiamo fare i conti, ma senza condizionarci la vita. Se servono? Mah, io se devo dire una cosa a una persona preferisco essere diretto. Tanta gente insulta è non è bello. Le critiche mi danno la carica. Sapeste quanta carica quest’anno mi hanno dato certi tifosi della Triestina…».
(Fonte: La Nuova Venezia. Trovate il resto dell’articolo sull’edizione odierna del quotidiano)
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