Chievo, Maran parla a 400 futuri soldati: “Io ne ho tanti in campo, visto quanto corrono!”
sabato 12 Novembre 2016 - Ore 11:00 - Autore: Gabriele Fusar Poli
«In campo ho tanti soldati, visto quanto corrono…». L’immagine è chiamata. Dal luogo. E dai 108,4 km a gara del suo Chievo maratoneta. Caserma Duca, a Montorio. «Entrando mi sono emozionato». Rolly Maran: davanti a lui, i 400 ragazzi (e ragazze) dell’Istituto di Formazione 85° Reggimento Addestramento Volontari, «gente che sa cos’è il senso di responsabilità, il che nei giovani d’oggi non è sempre scontato». Non è scontato nemmeno l’incontro. Salone enorme e un panorama di divise interrotto dal completo blu dell’uomo di Trento. «Lavoravo nell’azienda di famiglia e a casa dissi: provo col calcio, un anno di tempo, altrimenti torno qui. Sono passati trent’anni e mi stanno ancora aspettando».
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Per il Chievo (1-1 ieri nel test con l’Olimpia Lubiana a Veronello, De Guzman poi Eleke) è la 15esima stagione tra le grandi. «Il segreto? Conosco Luca Campedelli da prima che diventasse presidente. Lui e la sua famiglia hanno inculcato una linea: lavoro, precisione, cura dei dettagli. E poi la partecipazione: Campedelli è un presidente presente ma mai invasivo, non vuol sapere chi gioca però è attento a come lavori». Per Maran è la quinta stagione, in A. «Cercavo di capire le qualità di chi arriva fin qui. Poi mi sono fatto delle convinzioni: professionalità, conoscenza, ma serve anche essere se stessi, perché se scimmiotti qualcuno non cresci e non duri nel tempo». Il tempo, per Maran, è un’onda mutante da cavalcare. «A fine di ogni campionato mi guardo indietro e penso: credevo d’essere furbo l’anno scorso, invece ho imparato e posso ancora imparare una valanga di cose. Metto sempre in discussione ciò che ho fatto o pensato il giorno prima. E guai a ritenere che un’azione sia giusta sempre».
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Sbagliano, a volte, anche i calciatori. «L’errore di leggerezza lo perdono. Non accetto l’egoismo che va a discapito della squadra». La squadra, allora. «Funziona se c’è rispetto. E l’allenatore deve essere il primo a rispettare ogni giocatore. Nel Chievo, che per forza di cose incontra spesso squadre dal potenziale più grande, la chiave è l’unità d’intenti, e quel che mi preme di più è rendere tutti partecipi».
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Nel mondo di Maran c’è passione ma pure stress. «Anni fa ciò che mi stava attorno mi turbava quotidianamente. Il calcio è così: un giorno fenomeno, il giorno dopo asino. Bisogna cercare d’isolarsi e non farsi influenzare. Alla fine, l’importante è tornare a casa sapendo di aver dato il massimo. Lo dico anche ai ragazzi: cerchiamo di uscire dal campo senza rimproverarci nulla».
(Fonte: Corriere del Veneto. Trovate il resto dell’articolo sull’edizione odierna del quotidiano)
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