Udinese, il mercato rende: plusvalenza di 230 milioni in sei anni!
sabato 3 Settembre 2016 - Ore 10:15 - Autore: Gabriele Fusar Poli
Sabato pomeriggio, stadio Olimpico di Roma. Un’ora all’inizio di Lazio-Juventus. Sul prato indugiano in convenevoli tre giocatori. E persino due medici della Juve, Rigo e Tenore; una cosa in comune con Benatia, Asamoah e Basta: la maglia dell’Udinese nell’età dell’oro. Nostalgia per chi era davanti alla tv dal Friuli, ahinoi molti di più di quel manipolo (8.400 tv in tutta…Italia) che hanno seguito domenica su Sky Felipe&Co. Molta. Partiamo proprio da questo amarcord per un viaggio negli ultimi cinque anni dell’Udinese story, proprio mentre mercoledì s’è chiuso (l’ennesimo) calciomercato bianconero sonoramente bocciato dalla stampa nazionale. Europa aspetta. Tante cose sono cambiate in un lustro: i risultati sul campo, lo stadio, i compagni d’avventura, i rapporti di forza in quella che è diventata la holding del pallone dei Pozzo prima col Granada e poi col Watford. Attenzione, in alto i cuori tifosi bianconeri, questo non è il racconto d’un lento declino. L’ha detto ieri a chiare lettere Gino Pozzo al Messaggero Veneto: «L’obiettivo è tornare in Europa, in questo stadio». Non solo a Watford, aggiungiamo noi. Possibile? Sì, paradossalmente basterà ricominciare a vendere a peso d’oro i giocatori. spieghiamoci meglio. Plusvalenza ritorna. Basta, Asa e Benatia erano un po’ il simbolo del progetto Udinese: allevare giocatori in serie, farli sbocciare nel grande calcio contribuendo ai successi del club per poi venderli alimentando plusvalenze da record. Il terzetto doveva ancora giocare sabato quando in Inghilterra, la nuova terra promessa del pallone, altri due ex illustri si erano appena sfidati: Sanchez e Pereyra. Entrambi a segno in Watford-Arsenal. E ancora: durante Chelsea-Burnley il telecronista non faceva che parlare della corte juventina a Cuadrado, uno solo di passaggio a Udine e poi venduto alla Fiorentina a 20 milioni. Money and money. Sì, da Pepe e Quagliarella nel 2010 a Zielinski poche settimane fa, nelle casse dell’Udinese sono entrati in sei anni qualcosa come 257 milioni. I giocatori ceduti? Li leggete nella tabella, non serve dire che hanno fatto la storia del club in anni radiosi, forse i più radiosi; 257 milioni, più meno la cifra spesa dai due Manchester nell’ultimo mercato (!), che hanno generato una plusvalenza (la differenza tra quanto speso e quanto incassato per gli stessi atleti) su per giù di 230 milioni. Una cifra enorme perché l’Udinese ha un monte ingaggi saggiamente calmierato (ma a volte si esagera) sui 30 milioni di euro. Maravilla a peso d’oro. Cifre da capogiro, che avrebbero potuto pure essere superiori. Ve l’immaginate se quest’estate ci fosse stato sul mercato il Sanchez 21enne del 2011, che aveva appena fatto a brandelli le difese della serie A? Beh, se il difensore Maksimovic (dai piedi… quadrati) è stato appena venduto dal Torino al Napoli per 25 milioni (più Valdifiori), a quanto avrebbe potuto vendere Pozzo il “Niño”? Ben più dei 26 milioni (più 11 di bonus) con cui fu ceduto al Barcellona, con una plusvalenza record di oltre 30. Non abbastanza (e gli fa onore) per impedire un anno fa a paron Pozzo di esclamare un malinconico: «Se l’avessi venduto un anno dopo anche noi qualcosa avremmo vinto…». Filone inaridito. Eppure queste vendite da record si sono a poco a poco affievolite, proprio come i risultati della squadra. Guidolin, il “re mida” degli allenatori dell’Udinese, nel suo ultimo anno aveva lasciato in dote due carichi da 90 come Pereyra e Basta individuando altre rendite sicure come Allan e Zelinski (più il primo che il secondo). Ma poi? Nulla. Il sogno del mister di Castelfranco di rilassarsi facendo il talent-scout si è arenato. L’inattaccabile sodalizio tra Gino Pozzo, padrone del vapore, e il procuratore amico Claudio Vagheggi (non provate a chiamarlo dirigente-ombra, per carità, si irrita molto), la rete di osservatori, hanno battuto in testa. Tutti hanno cercato di copiare il “modello” Udinese. La squadra poi è incappata in due stagioni da dietro la lavagna. Ma senza i risultati niente giocatori in vetrina, niente possibilità di preparare i sostituti, niente plusvalenze. La morte per l’Udinese. Pounds revolution. Divenuta d’un colpo Calimero il 25 aprile 2015. Sì, proprio il giorno in cui i bianconeri di Stramaccioni si salvarono virtualmente battendo il Milan, oltremanica il Watford, la squadra che Pozzo aveva comprato nel 2012 rafforzandola con “gli scarti” bianconeri, staccò il biglietto per la ricchissima Premier. La Befana alla Festa della Liberazione. Nelle casse della holding del pallone, idealmente, arrivò un bonifico di oltre 100 milioni, la fetta dei ricchissimi diritti tv che la Premier destinava alla neopromossa. Da quel giorno tutto è cambiato in casa bianconera. Il Watford, non era più la squadra cui destinare giocatori di seconda fascia (“soldatino” Abdi, Ighalo, Angella, Fabbrini), è diventata la padrona del vapore, tanto che lo scorso gennaio, quando Gino Pozzo già preparava il terreno alla vendita del Granada, ha spostato i due gioielli andalusi Success e Penaranda non in Friuli, ma nel sobborgo di Londra. Perché i cugini hanno 120 milioni di fatturato contro i 50 dell’Udinese, un parco giocatori il cui valore in una stagione ha raggiunto i 120 milioni (dati dell’enciclopedico sito Trasfermarkt) contro i 100 dei bianconeri e prospettive di ulteriore crescita grazie ai diritti tv, tre volte quelli incassati dai bianconeri, anche se la forbice Tagliamento-Tamigi è destinata ad ampliarsi se presto in Friuli non torneranno i risultati sul campo. Ecco perché Pereyra, partito da Udine via Juve 3 anni fa per 15 milioni, è ritornato in famiglia per uno di meno, ma sponda Tamigi e con uno stipendio da Premier. Basterà lo stadio? La “Calimero” Udinese è spacciata? No. Perché parte delle dorate plusvalenze sono servite e serviranno a finanziare il meraviglioso progetto del nuovo stadio, tra quanto fatto e quanto si farà (vedi spazi commerciali e ludici sotto le nuove tribune) oltre 50 milioni; e proprio il nuovo Friuli è una vera e propria polizza vita per il futuro del club ad alto livello con utili che, a regime, saranno di almeno 10 milioni l’anno. E poi c’è un’altra forza: il pubblico. Diecimila abbonati, come visto anche domenica sera, sono lo zoccolo duro d’una tifoseria appassionata, aggrappata a una squadra anche nei momenti difficili. L’Udinese, però, dovrà riprendere a creare plusvalenze, impresa non facile dopo le due stagioni negative alle spalle. Anche perché un asso nella manica come Totò Di Natale ora non c’è più. Vi ricordate? Venduto Quagliarella c’era un certo Sanchez pronto a volare. Ceduto Asamoah c’era Badu. Via Isla? Era pronto Pereyra, dopo un anno di apprendistato e pochi minuti in campo. Ora? Semplice. Dopo Basta ha faticato Widmer, dopo Allan ha stra-faticato Fernandes; dopo Di Natale, è arrivato Zapata, ma in prestito biennale dal Napoli, operazione che fino a pochi anni fa i Pozzo avrebbero evitato con cura. Semplicemente perché il “mago delle plusvalenze” non si sognavano nemmeno di preparare un giocatore per altri senza guadagnarci nulla. Della serie “san vecchio Thereau” aiutaci tu. Il “Piano Marshall”. Siamo alla fine di questa lunga storia. Il finale, a sorpresa, è lieto. I Pozzo, tra Balic e Samir a gennaio e Fofana, De Paul ed Ewandro in estate hanno investito oltre venti milioni su giovani bravi, anche se sfuggiti ai radar dei critici del mercato. Denari derivati dall’ultima plusvalenza buona (Zielinski) e dalle cessioni di Fernandes e Verre, quest’ultima in verità alquanto cervellotica. Portafoglio alla mano (fonte Gazzetta dello Sport) è pure avanzato un “gruzzoletto” di 18 milioni. L’obiettivo è chiaro: ricreare il circolo virtuoso. Per farlo servivano talento e certezze: ecco quindi arrivare Peñaranda in prestito dalla “casa madre” Watford (questa è, rassegnamoci, lo dicono i conti) e soprattutto il cervello del centrocampo Kums, acquisto fuori mercato per l’Udinese, ma per questo pagato dai “cugini” al Gent 10 milioni. Il principio dei vasi comunicanti. Chiamatelo se volete “Piano Gino”, cinguettando il sempre anglofono (provvidenziale e di successo) Piano Marshall. Baricentro Kums. Il “nuovo Walem” darà un senso a una squadra balbettante (non inganni la vittoria con l’Empoli), saluterà a fine stagione, ma (speriamo) farà da chioccia a Balic, pronto a sua volta a esplodere. Peñaranda, più scafato nonostante l’età, farà esperienza e preparerà il terreno all’acerbo Ewandro. Saracinesca Karnezis a Meret o Scuffet. Ripartirà il filone d’oro? Ripartirà la vera Udinese, ora Calimero “cantera” del Watford? Senza un centravanti da 15 gol a stagione, sul mercato merce rara (e cara, anche un milione a gol), sarà comunque dura. Ma il piano è che Perica, Ewandro, Penaranda, Balic somiglino un po’ a Bierhoff, Amoroso, Sanchez o Pizarro e naturalmente Zapata giochi prima per l’Udinese che per De Laurentis. Ecco il futuro dell’Udinese, con buona pace di qualche visionario che continua ad avvistare un giorno sì e uno no a spasso per Udine il boss della bibita che mette le ali. Tutti bravi senza lo straccio d’una foto, per i criminologi la “prova regina”. «Mai visti quelli della Red Bull, mi tengo l’Udinese e la riporto in Europa», ha detto Gino. Difficile che la voglia raccontare ai suoi concittadini. Chiudiamo: meglio essere “sotans” di un club d’un sobborgo di Londra, ma col cuore friulano, che di un miliardario austriaco? Se il piano Marshall, pardòn Gino, funziona e con l’abbinata tifosi-stadio modello, welcome Watford city. Se solo Zapata iniziasse a buttarla dentro…
(Fonte: Messaggero Veneto)
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