Udinese salva, Pozzo: “Non possiamo ridurci a fare testa o croce per salvarsi…”
martedì 10 Maggio 2016 - Ore 10:00 - Autore: Gabriele Fusar Poli
«Adesso la gente deve fare festa, poi vedremo noi di fare la festa». Il tono, filtrato dal telefono che rimanda la linea dalla Spagna, non è duro: Gianpaolo Pozzo sembra più che altro deciso. Non intende rivivere un’altra stagione così tribolata, forse la peggiore da quando tornò in serie A nel 1995 per raccogliere una raffica di soddisfazioni tra le quali – l’appunto dei tifosi più esigenti – manca soltanto la perla di un trofeo. Questione di botte di… Di fortuna, si dirà. L’imponderabile del calcio. Quello che i paròn vorrebbe ridurre a un numero prossimo allo zero per evitare finali di stagione come quello appena vissuto. «L’altro giorno è stato come tirare una monetina: testa o croce per salvarsi. No, non possiamo ridurci così», racconta rivivendo le sensazioni di una domenica di sofferenza. Resta da capire cosa non ha funzionato quest’anno: quale è l’errore che vorrebbe non riperete in futuro? «Il nostro campionato è stato inaccettabile per un club che fa della programmazione la propria forza. Credo ancora adesso che la squadra fosse sufficientemente attrezzata per non correre i pericoli che poi, invece, abbiamo vissuto e quindi è chiaro che qualcosa non ha funzionato nella nostra organizzazione». Si riferisce all’area tecnica? Agli staff? «Mi riferisco ai dirigenti. Ora lasciamo terminare la stagione, c’è ancora una partita da onorare e sarà l’occasione, speriamo, per vedere in campo per l’ultima volta un grande campione come Di Natale. Poi tireremo le somme e vedremo di ricalibrare l’Udinese, valutando tutti gli aspetti». Ma tra i dirigenti c’è anche suo figlio Gino… «Non ci siamo capiti. Lui è a capo della struttura e deve delegare delle competenze per poter gestire l’Udinese, visto che la nostra politica da sempre prevede il controllo di molti giocatori per poi poter scremare i migliori e ottenere dei risultati. Lui ha messo a disposizione la macchina per raggiungere la meta, ma se questa non è un rottame e per raggiungere Tricesimo dallo stadio uno impiega un’ora vuol dire che bisogna cambiare il guidatore, il pilota. E quello non è mio figlio». Insomma, sono i “suonatori” che non hanno convinto, non il compositore. «Anche noi abbiamo sbagliato. Ma la mia coscienza è a posto. La nostra società ha sempre reso al massimo quando c’è stata grande sintonia tra proprietà e dirigenza. Io sono un tifoso, sono stato un proprietario-tifoso che aveva bisogno di essere affiancato per chiudere il cerchio. Altro che imprenditore del calcio! Così mio figlio deve poter contare adesso su una macchina organizzativa capace di supportarlo, nessuno può lavorare da solo». Già, c’è bisogno di fare gruppo, ambiente: i tifosi in questo senso vi hanno dato una lezione: non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno… «Lo stadio l’abbiamo ripensato e ricostruito proprio per loro: per andare incontro alle loro esigenze e sentirli vicini. Questo obiettivo lo abbiamo raggiunto, adesso si respira un’aria nuova durante le partite. Purtroppo, dopo molti anni felici, stavolta non siamo stati capaci di regalare loro delle soddisfazioni. Ed è per questo che dobbiamo affrontare una rivoluzione. I tifosi sono stati da applausi, sono la nostra vera ricchezza, non dobbiamo disperdere il patrimonio». Aria nuova, ha detto: si respirerà anche in società, nello spogliatoio? «Credo si debba rinnovare profondamente la rosa. C’è bisogno, più che di aria, di acqua fresca: servono forze e stimoli nuovi per tornare a essere l’Udinese, squadra capace di sorprendere nell’anno buono». Prima la salvezza e poi… «Vediamo di calibrare meglio il nostro valore: mi piace pensare che siamo una squadra da decimo posto, per potenzialità, seguito e organizzazione».
(Fonte: Messaggero Veneto)
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